Le fasi e la longevità della pratica Yoga

Fasi e longevità della pratica Yoga nel tempo: domande sempre più ricorrenti ora che lo Yoga dinamico (Ashtanga, Vinyasa o Jivamukti) sta diventando il più praticato al mondo.

Parsvakonasana (foto di M. Pantani)

Salgo sul tappetino da oltre vent’anni e non ho iniziato da ragazzina, ho scelto da subito l’Ashtanga Yoga, con incursioni Jivamukti che tuttora mantengo. Certo ho un passato di ginnasta e ballerina, e questo forse può sembrare un vantaggio inizialmente. In realtà con lo Yoga ho dovuto reimpostare tutto ciò che avevo appreso nelle discipline precedenti, imparando ad approcciare ogni posizione non tanto con l’esito estetico in mente, quanto con l’obiettivo di farne un luogo per il respiro. Gli inarcamenti di una ginnasta, ad esempio, sono molto diversi da quelli di uno Yogi, anche se in apparenza possono sembrare simili. Nelle attività fisiche in senso lato l’approccio alla posizione è per lo più muscolare, articolare, fisiologico. Negli asana entra in gioco l’aspetto energetico, guidato dal respiro, ed è per questo che anche chi inizia a praticare in età avanzata può comunque migliorare e trarre giovamento da questa disciplina. Non è mai troppo tardi per coltivare la longevità!

Sicuramente negli anni la mia pratica è cambiata. Sebbene ancora adesso io pratichi tutti i giorni Ashtanga o Vinyasa Yoga, non mi prefiggo come obiettivo la terza o la quarta serie dell’Ashtanga, quanto la longevità di una pratica dinamica. Per chi ha superato una “certa” età, e anche per chi magari non è ancora entrato negli “anta” ma ha un corpo segnato da molti anni di attività sportiva agonistica, forse può essere interessante la mia personale esperienza di praticante e insegnante.

Innanzi tutto, una premessa. Spiritualmente siamo tutti creature sacre, ma fisicamente ognuno di noi è unico. Al di là della conformazione muscolo-scheletrica, ognuno di noi reagisce a traumi fisici e psichici e alle emozioni in modo unico e irripetibile. Traumi ed emozioni non vivono solo nella nostra mente ma anche nel nostro corpo. Siamo su questo piano di esistenza per vivere con tutto il nostro essere, e non è possibile disconnettere la mente dal corpo. Quando cerchiamo di farlo, l’una/o si vendica sull’altro/a. Questo è vero sia nel breve che nel lungo termine. Ci abituiamo a dare per scontate posizioni e transizioni che magari hanno fatto parte del nostro percorso per dieci anni e più, e improvvisamente un mattino Marichyasana D non ne vuole sapere di chiudersi. E questo senza spiegazioni fisiologiche apparenti. Fino a ieri i nostri jump back erano leggeri come piume, e oggi improvvisamente ci sentiamo di piombo. In questo la pratica è una continua verifica del nostro piano esistenziale, di ciò che accade in noi e attorno a noi e di come reagiamo alle diverse sfide del quotidiano. Se affrontiamo la pratica come una sfida (“la mia mente decide cosa deve fare il corpo”) siamo molto probabilmente destinati a non durare a lungo sul tappetino. Se invece accogliamo la pratica come un messaggio della parte migliore di noi, allora ogni giorno è una scoperta, e non resteremo mai delusi. Longevità, nel mio vocabolario, non significa invecchiamento, ma lunga giovinezza della pratica, che significa poi un corpo ed una mente giovani per tutta la durata della nostra vita.

Per quanto mi riguarda, salgo ogni giorno sul tappetino cercando di capire di cosa ho bisogno. In primo luogo mi assicuro che sia sempre il respiro a dare inizio al movimento, e non viceversa. Se prestiamo attenzione a questo aspetto, ci rendiamo conto di quante volte, senza volerlo, ci muoviamo prima di iniziare a respirare. E’ un po’ come parlare prima di pensare: di solito non ne viene fuori niente di buono! Quindi verifichiamo sempre che sia il respiro a guidarci.

Prima di praticare, eseguo alcuni movimenti spinali che mi sono stati insegnati da Simon Borg-Olivier. In questi movimenti, comincio a connettermi con il centro del mio corpo, da cui attingo per trovare equilibrio sia nelle posizioni in piedi che nei bilanciamenti sulle braccia. Se mi sento molto carica di energia, rispondo dando maggiore enfasi alle transizioni dinamiche, con una pratica ricca di vinyasa. Se mi sento “svuotata”, cerco di lavorare in direzione di una “peak pose”, ovvero preparando il corpo ad una posizione particolarmente impegnativa riducendo le transizioni o rendendole più leggere. In questo, prendo spunto dai vinyasa alternativi di due grandi maestri di Yoga, Matthew Sweeney e Godfrey Devereux, di cui vi suggerisco l’approfondimento (basta cliccare sui loro nomi per raggiungere i loro siti). Se mi sento sbilanciata, lavoro sui core muscles (i muscoli profondi del tronco), privilegiando Navasana, Chaturanga e le loro tante varianti al centro della pratica. Le transizioni sono estremamente divertenti, ma penso sia poco realistico ed energeticamente troppo demanding praticare sei giorni su sette inserendo una verticale sulle mani ad ogni cambio di posizione.

Le inversioni fanno sempre parte della mia pratica, anche e soprattutto per i loro benefici effetti sui flussi ormonali del corpo: un particolare che le donne non dovrebbero mai trascurare, soprattutto dopo i 40-45 anni.  Dopo le inversioni (soprattutto se eseguo Salamba Sarvangana dopo Sirsasana, suggerito ad esempio nel metodo Jivamukti) resto almeno una decina di respiri in Savasana, per dar modo ai fluidi corporei di tornare alla normalità. Un altro elemento imprescindibile è il rilassamento profondo al termine della pratica, che dà modo al corpo di assorbire l’energia sviluppata durante asana e vinyasa, e ne evita la dispersione immediata.

Come si traduce tutto questo sul tappetino? Potete vederlo voi stessi seguendo una delle mie sequenze vinyasa. Insieme a Tessa Gelisio ho sviluppato cinque moduli di pratica che possono essere utilizzati singolarmente, o messi in sequenza a seconda della disponibilità di tempo e del livello di pratica. Comprendono posizioni della prima, della seconda e della terza serie dell’Ashtanga Yoga, collegate tra loro da transizioni classiche o alternative. L’obiettivo delle mie sequenze è la longevità di una pratica dinamica. Perché l’amore per questo tipo di Yoga non passa con gli anni. Anzi! Mantenere a lungo nel tempo una pratica dinamica è un investimento per la salute di mente e corpo. Trovate tutti i video nella sezione practice di questo sito. Qui vi lascio con quello dedicato all’inizio della pratica: movimenti spinali, asana preparatori e saluti al sole a&b, adatti davvero a tutti i livelli di pratica. Spero che i miei suggerimenti vi siano utili soprattutto per far sì che la pratica diventi non solo una fase della vostra vita, ma la compagna fedele di ogni giorno, il più a lungo possibile.

Buona pratica!

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