Quanto sono reali i chakra?

Traduzione e commento all’articolo di Daniel Simpson

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Una delle discussioni a cui ho più volte dato il mio contributo su questo blog, ruota sempre intorno a questa domanda: “quanto sono reali i chakra?”. Ho sempre cercato fonti attendibili e credibili nell’affrontare questo argomento, che tanto stimola la fantasia degli Yogi contemporanei. Alzi la mano chi non ha mai sentito pronunciare, in una classe di Yoga, la frase “apriamo il chakra del cuore”! Ma quanto è reale questa affermazione? Cosa intendevano per chakra i primi Yogi, e a cosa si riferisce veramente questo termine sanscrito? Per arricchire la risposta a questa domanda, da me già trattata più volte, ho pensato di tradurre per voi questo interessante articolo tratto da The Luminescent, che spero porterà un po’ di luce su questi controversi simboli dello Yoga. Lascio spazio quindi alla voce di Daniel Simpson, che nel suo libro The Truth of Yoga, di recentissima pubblicazione, ci fornisce spiegazioni utili e fondate.

“Quanto segue è un estratto del mio libro, pubblicato a gennaio 2021, The Truth of Yoga. Il sottotitolo recita: ‘Una guida completa a storia, testi, filosofie e pratiche Yoga’. Il libro attinge all’abbondanza delle recenti ricerche sul tema, che hanno rivelato al grande pubblico conoscenze finora riservate solo agli accademici. Il mio scopo è fare chiarezza, in modo accessibile, senza però scadere nell’eccessiva semplificazione.

Durgā in un chakra con Gaṇeśa e un leone.
Inchiostro e acquarello su carta, Pahari, forse Guler, seconda metà del 18esimo secolo.
© Victoria and Albert Museum, London.

Questo è inevitabilmente un obiettivo ambizioso, ma che ritengo sia bene perseguire. Come spiego nell’introduzione, ho deciso di scrivere un libro perché gli studenti spesso mi chiedono quale testo consultare per avere una visione d’insieme del panorama storico-filosofico dello Yoga. E se esistono molti lavori di alto livello su argomenti specifici, molti dei titoli rivolti ai praticanti sono spesso fuorvianti. I testi dello Yoga sono spesso reinterpretati per risultare più piacevoli, o per creare una sorta di legame con le pratiche contemporanee.

L’esempio che vi porto è lampante. Esplora l’evoluzione degli insegnamenti sui chakra, che nei corsi di formazione per insegnanti e ‘ ormai lontana anni luce da quanto esposto nei testi tradizionali. I Chakra si sono trasformati in una sorta di sintesi dell’anatomia sottile, i cui meccanismi mistici trascendono le distinzioni tra mente e corpo.

Uno dei maggiori contributi del Tantra allo Yoga fisico è il metodo per risvegliare questa dimensione interiore, e richiamarne il potenziale trasformativo. Una visione eccessivamente materialista rischia di oscurare questa modalità. Anche se i chakra non esistono oggettivamente nel corpo fisico, si attivano attraverso la visualizzazione. Come conseguenza, possono avere effetti molto potenti, ma non nel senso che gli viene solitamente attribuito nei moderni seminari che pretendono di “ripulirli”.

[Estratto da The Truth of Yoga.]

I chakra immaginari

D. Simpson

Le parti più note del corpo yogico sono spesso quelle più fraintese. I Chakra sono ruote sottili poste lungo la colonna, originariamente utilizzate come punti di concentrazione. Esistono solo se li immaginiamo. Alcune tradizioni li ignorano completamente.
Esistono molte sistematizzazioni dei chakra, che li elencano e li collocano in modo diverso. Il modello predominante oggi, ovvero sei lungo la colonna e uno sulla sommità del capo, è frutto di un mix tra tradizione e invenzione. Il primo riferimento a questo sistema deriva dal Kubjikamata Tantra (11.34–35) del decimo secolo, che descrive l’ano come adhara, una “base” o “sostegno,” a cui viene successivamente aggiunto il prefisso mula, o “radice”. Svadhishthana viene posizionato sopra di esso, all’altezza del pene, manipuraka (o manipura) all’ombelico, e anahata nel cuore. Vishuddhi si trova nella gola, e ajna tra gli occhi.
Generalmente, i chakra sono delle sagome da utilizzare durante la visualizzazione. Vengono presentati nei Tantra come uno dei metodi per trasformare il corpo del praticante, installandovi simboli collegati agli dei. Alcuni testi ne elencano più di una dozzina, altri meno di cinque. A volte sono chiamati adhara, o “sostegni” per la meditazione—o alternativamente padma, o “fiori di loto,” per i petali che caratterizzano le loro raffigurazioni pittoriche. In ogni caso, sono considerati snodi in una rete di canali dell’energia vitale, e concentrarsi sulla loro posizione acuisce la capacità di percezione.
Un’altra fonte li elenca con nomi diversi: nadi, maya, yogi, bhedana, dipti, e shanta. “Ora vi narrerò dell’eccellente, suprema, sottile meditazione attraverso la visualizzazione”, recita il Netra Tantra (7.1–2), quando descrive il corpo che comprende “sei chakra, le vocali di sostegno, i tre oggetti e i cinque vuoti, i dodici nodi, i tre poteri, il cammino delle tre dimore, e i tre canali”. Questo sconcertante assortimento di collocazioni è comune nei Tantra, le cui mappe dei regni interiori appaiono spesso contraddittorie.
Qualche secolo dopo, si afferma la versione dei sette chakra. In questa visione troviamo sahasrara—una ruota “dai mille raggi”, o un loto “dai mille petali”—posto alla sommità del capo (o, a volte, al di sopra della testa, come nel Shiva Samhita). Un altro testo yogico elenca gli stessi sette punti senza menzionare però i chakra: “Il pene, l’ano, l’ombelico, il cuore e sopra di esso il luogo dell’ugola, lo spazio tra le sopracciglia e l’apertura verso lo spazio: questi, si dice, sono i luoghi della meditazione dello Yogi” (Viveka Martanda 154–55). Comunque vengano definiti, questi punti svolgono la funzione di segnavia per elevare la consapevolezza.

Il trionfo di questo modello si trova nel lavoro di Sir John Woodroffe, un giudice britannico dell’India coloniale, conosciuto anche sotto lo pseudonimo di Arthur Avalon. Nel 1919, scrisse il libro The Serpent Power (La Kundalini e l’Energia del Profondo, ed. Adelphi) che includeva una traduzione del Shat Chakra Nirupana del sedicesimo secolo, o “Descrizione dei sei Chakra.” Altri scrittori occidentali condivisero l’attenzione di Avalon ai Tantra. Anche l’occultista Charles Leadbeater dedicò alcuni scritti ai chakra negli anni ’20. I libri di questi due autori restano autorevoli, come le teorie di Carl Gustav Jung, che incorporò i chakra nel suo sistema di simboli.
Gli autori della New Age hanno sfumato la distinzione tra creazioni mentali e fatti fisici, presentando i chakra come se fossero oggetti reali, invece che visualizzazioni. Li descrivono spesso con i colori dell’arcobaleno, che non si trovano in alcuna fonte originale sanscrita. Gli attribuiscono anche legami con pietre, pianeti, cure, ghiandole endocrine, carte dei Tarocchi e arcangeli della tradizione cristiana, oltre ad altre amenità.

Anche alcune menzioni ai mantra traggono in errore. I rituali tantrici li collegano agli elementi raffigurati nei chakra, non ai chakra stessi. Quindi recitare un bijamantra legato all’elemento aria difficilmente potrà servire ad aprire il cuore, se non in forma di effetto placebo. Tuttavia, portare l’attenzione a cose simili può renderle reali, almeno nell’ambito dell’esperienza soggettiva. E poiché i Tantra ci insegnano che è in questo modo che si convocano le divinità, forse l’uso che i praticanti moderni fanno dei chakra non è poi così diverso dal l’originale.

The Truth of Yoga di Daniel Simpson è stato pubblicato il 5 gennaio 2021 da Farrar, Straus and Giroux. Per maggiori informazioni, consultate il sitotruthofyoga.com.

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