Viaggio via terra dalla Russia artica al sud dell’Iran

Murmansk, in Russia, era il punto più alto sulla mappa che avessi mai raggiunto. Partendo dal 69esimo parallelo nord, stavo per intraprendere un viaggio lungo la linea invisibile che separa l’Europa dall’Asia per raggiungere la parte meridionale dell’Iran.  Un viaggio intrapreso in parte per sperimentare di nuovo le inimitabili stravaganze dell’Est vicino e in parte per investire i due mesi di tempo a mia disposizione in un itinerario che nessuno di mia conoscenza aveva mai intrapreso prima, almeno per quanto ne sapessi.

Partendo da Amsterdam sono volato a San Pietroburgo e da lì ho preso un treno – 25 ore di viaggio – per Murmansk, la più grande città nel Circolo Polare Artico. Ad attendermi alla stazione non c’era però la mia inaffidabile host di Couchsurfing, ma due ufficiali di polizia e un interprete. Era notte fonda a Murmansk, ma il sole era ancora visibile all’orizzonte. L’estate a queste latitudini significa totale assenza di buio. “Cosa ci fa qui? Non ci sono partite a Murmansk”, mi chiedeva l’agente mentre controllava il mio passaporto. Erano gli ultimi giorni dei mondiali 2018 e migliaia di visitatori avevano raggiunto la Russia per seguire la loro squadra. Io, però, non ero uno di loro. “Sono solo un turista”, avevo risposto.

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Murmansk, Russia. Foto © Angelo Zinna.

Mi diedero così il benvenuto in quella che sembrava una città fantasma rimasta all’era sovietica, con ampi viali privi di traffico e solo un McDonald’s – il  McDonald’s più a nord di tutto il pianeta, si dice – che mostrava qualche segno di vita. Camminare lungo Leninskaya mentre la città dormiva sotto un cielo illuminato a giorno dava quasi l’impressione di essere in un ambiente alieno.

A tre ore dal confine con la Norvegia, Murmansk è una città di ferro e cemento. Il suo ampio porto, su cui si basa l’economia della città, rimane libero dai ghiacci per tutto l’anno grazie alla corrente calda del Nord Atlantico e ospita la nave-museo Lenin, la prima imbarcazione potenziata a energia atomica, insieme alla più grande flotta di rompighiaccio a propulsione nucleare. Vestigia dell’URSS si ritrovano non solo nel porto: tutto intorno all’insegna in stile hollywoodiano con il nome della città, dei palazzoni grigi circondano in centro della città sotto lo sguardo del soldato Alyosha, un monumento gigantesco in memoria dei soldati della Seconda Guerra Mondiale.

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Statua di Alyosha a Murmansk, in Russia. Foto © Angelo Zinna.

L’isola di Kizhi, patrimonio UNESCO, è stata la mia prima tappa nella lenta discesa verso il Caucaso. Da Petrozavodsk, un viaggio di 90 minuti in aliscafo sul Lago Onega mi ha portato nel museo a cielo aperto di Kizhi, dove si trovano case e chiese secolari in legno, lontane dal caos cittadino. Quella parentesi felice è durata però poco: Mosca e i suoi dodici milioni di abitanti mi aspettavano.

Kizhi, Russia. Foto © Angelo Zinna.

Il mio primo incontro con la capitale russa ha visto come protagonista un probabile tossico che mi ha dato il benvenuto nella mia camerata d’ostello soffiandosi il naso sulle lenzuola. Immagino che un po’ più di premura nello scegliere dove dormire non avrebbe fatto male, ma ormai ero lì, di fronte alle torri staliniste che si stagliavano all’orizzonte, col traffico incessante, strade impossibili da attraversare e persone che correvano in ogni direzione.

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Piazza Rossa, Mosca, Russia. Foto © Angelo Zinna.

Quando, dopo 19 giorni, raggiungo Volgograd, ho già trascorso 85 ore in treno, la maggior parte delle quali in totale silenzio visto che le mie abilità linguistiche non vanno molto oltre il “non parlo russo”. Da Mosca, una deviazione di quattro giorni mi ha condotto a Kazan, famosa per il suo Cremlino bianco, anche questo patrimonio UNESCO, ma è stato nella città conosciuta un tempo come Stalingrado che la Russia, come me la ero sempre immaginata, si è presentata. Lontano dalle rotte turistiche, il centro industriale di Volgograd è una città da record: si affaccia sul fiume più lungo d’Europa, il Volga; ospita La Madrepatria Chiama, la più alta statua del mondo raffigurante una donna, e anche la statua di Lenin più alta del pianeta — primato non da poco visto il numero spropositato di monumenti dedicati al leader bolscevico ancora oggi in piedi.

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Lenin a Volgograd, Russia. Foto © Angelo Zinna.

A Volgograd, abbandono la ferrovia per passare all’asfalto fino alla mia tappa finale, ancora non ben definita. Una marshrutka mi accompagna attraverso l’arida steppa fino alla provincia buddista della Calmucchia e da lì raggiungo la città di confine Vladikavkaz, pronto a lasciare la Russia dopo quasi un mese. Oltre il Gran Caucaso mi aspettava la Georgia, con i suoi khachapuri, khinkali e vino dolce. Avendo già visitato la Georgia, non mi trattengo molto nel paese, giusto il tempo di scoprire la stamperia segreta di Stalin a Tbilisi e fare il punto sul resto del mio itinerario.

Kazbegi, Georgia. Foto © Angelo Zinna.

Grazie alle nuove norme sui visti, entrare in Azerbaigian oggi è piuttosto semplice, a meno che non si sia già visitata la regione contesa del Nagorno-Karabakh. Ho viaggiato lungo la costa passando per Baku, la capitale, e giù fino a Lankaran, l’ultima grande città prima del confine iraniano.

Lankaran è considerata una “città resort” dell’Azerbaigian e, anche se non posso definirmi un esperto di resort, non è proprio quello che mi aspettavo. Dopo un viaggio da Baku su un autobus abbastanza affollato, con tanto di comparsa improvvisa di una fumata dal motore, successiva sosta di due ore in autostrada e intervento di autobus di soccorso, alla fine sono arrivato a Lankaran. Ho scoperto che il mio ostello non era proprio un ostello, ma una specie cantiere aperto, senza intonaco, senza acqua calda e senza internet. Il proprietario, ex funzionario del KGB di nome Qeni, era pronto ad alleviare le mie delusioni con una scorta infinita di vodka.

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Sheki, Azerbaigian. Foto © Angelo Zinna.

Visto che a quanto pare sono incapace di trovarmi una sistemazione decente da solo, in Iran ho voluto lasciare al fato la decisione su dove avrei dormito. Il giorno prima di attraversare il confine ho postato un messaggio su Couchsurfing scrivendo “Sarò a Rasht domani, c’è qualcuno disponibile per ospitarmi?”.

La famosa ospitalità iraniana è davvero eccezionale – quando mi sono connesso al Wi-Fi il giorno seguente, avevo ricevuto 17 messaggi. Così ho trascorso le tre settimane successive lasciando che il mio itinerario fosse influenzato da dei generosi sconosciuti.

Ho incontrato il mio primo host, Motti, architetta trentenne, davanti ad un caffè. I suoi genitori erano via per il fine settimana così aveva pensato che fosse una buona idea invitare un ospite. Ho passato i giorni seguenti a esplorare la provincia di Gilan con Motti e i suoi amici, visitando la città di Masouleh, fondata 800 anni fa tra le lussureggianti colline sopra Rasht, e altre piccoli villaggi lungo la costa.

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Masouleh, Iran. Foto © Angelo Zinna.

Mi sono poi spostato a sud verso Kashan, ma è stata solo una breve sosta. Dopo 24 ore infatti avevo ricevuto un invito ad aggregarmi ad un viaggio in macchina lungo la costa che affaccia sul mar Caspio. Ho così esplorato Ramsar, Chalus, Tonekabon e altri villaggi che non avrei mai visto se non avessi lasciato che degli sconosciuti decidessero il mio tragitto.

Due donne che avevano letto i miei post online mi hanno poi offerto un passaggio per Hamedan che è così diventata la mia destinazione successiva. A Hamedan, Qasem e la sua famiglia mi hanno dato il benvenuto a casa loro e grazie a lui ho raggiunto Lalejin, la capitale iraniana della ceramica. Mi sono ritrovato nella bottega di un artigiano a festeggiare un compleanno con una bottiglia di Grey Goose, introdotta illegalmente dall’Iraq, per poi ricevere in dono il souvenir perfetto da portare in giro in uno zaino logoro: un set di vasi di ceramica. Ho visitato le grotte immense di Ali Sadr, la più grande grotta d’acqua sotterranea del mondo, e dopo mi sono spostato a Kermanshah. Qui sono stato introdotto all’antico rituale sportivo conosciuto come zurkhaneh, attività ancora oggi abitualmente praticata nelle squadre del paese, che unisce danza, sollevamento pesi e pratiche da giocolieri.

Concludo il mio viaggio prendendo un autobus per Yazd, una delle città più pittoresche che abbia mai visto, e da lì per Kerman. Trascorro l’ultima settimana del mio viaggio tra le vestigia della tradizione zoroastriana, vicoli labirintici e bazar coperti che offrono rifugio dai 45 gradi costanti. Il mio secondo mese di viaggio si avvicinava alla fine, era tempo di tornare a Teheran e concludere questo viaggio di 8000 chilometri, per prendere un volo verso casa con uno zaino pieno di tè, nabot e strani regali collezionati lungo il percorso.

Spesso mi chiedo dove sarei arrivato se, invece, avessi continuato a fare l’autostop senza una meta precisa. Sicuramente lontano.

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